Giovedì della settimana santa, di p. Giorgio Bontempi c.m.

da | Apr 15, 2014 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

Ho pensato di offrire questo breve contributo, per aiutare a comprendere sempre meglio ciò che celebreremo il Giovedì Santo, affinché l’adagio “Viviamo ciò che celebriamo e celebriamo ciò che viviamo” possa attuarsi sempre di più nelle nostre comunità parrocchiali.

Formazione ed evoluzione della celebrazione.

Per la Chiesa romana, il Giovedì Santo, fino al VII secolo, segna la fine della Quaresima e del digiuno penitenziale, e ha inizio, con il Venerdì Santo, il digiuno infrapasquale nell’attesa immediata della risurrezione. Il mattino del Giovedì Santo la Chiesa romana conosce unicamente, fino al VII secolo, la riconciliazione dei penitenti. Non si trova traccia alcuna di commemorazione della Cena del Signore. Solo nella notte della Veglia pasquale infatti si celebra, come suo culmine, la liturgia eucaristica, l’eucaristia della Pasqua del Cristo risorto. I penitenti riconciliati sono avviati verso la mensa dell’eucaristia cui saranno di nuovo ammessi nella notte di Pasqua.
A Capua, a metà del VI secolo, si celebrano in questo giorno due messe: una al mattino, l’altra alla sera. Ma, a Roma, non troviamo alcuna traccia di una simile prassi.
Al Concilio di Cartagine del 397 ci attesta che l’eucaristia viene celebrata il Giovedì Santo. Da una lettera di sant’Agostino a Gennaro, sappiamo che già allora esistevano due possibili celebrazioni di messa: una, al mattino, per coloro che non potevano sopportare il digiuno fino a sera; l’altra, la stessa sera. Nel diario di viaggio di Egeria (monaca o nobildonna, in pellegrinaggio in terra santa) troviamo un uso analogo:

(…) Pertanto, allorché tutto il popolo è radunato, il rito si svolge così come si deve fare. Quel giorno l’offerta (la celebrazione eucaristica) avviene al Martyrium (= così era chiamata la chiesa maggiore) e il commiato ha luogo intorno all’ora decima (= tra le tre e le cinque del pomeriggio). Ma prima che sia fatto il commiato, l’arcidiacono ( in origine doveva essere il diacono più anziano; poi fu il più autorevole e veniva nominato dal vescovo prescindendo dall’età. Aveva il ruolo liturgico importante: faceva gli annunci, secondo quanto ci testimonia Egeria, era il primo collaboratore del vescovo e spesso ne diventava anche il successore) eleva la sua voce e dice: «All’ora prima della notte, raduniamoci tutti nella chiesa, all’Eona (= un monte sul quale la tradizione di Gerusalemme poneva una grotta nella quale Cristo si sarebbe appartato con i suoi discepoli dopo la Cena. Questa spelonca veniva considerata come il luogo in cui il Signore aveva pronunciato il discorso escatologico, ambientato dagli evangelisti sul Monte degli Ulivi), perché un faticoso impegno ci attende in questa notte». Avvenuto dunque il commiato al Martyrium , si va dietro la Croce, si dice solo un inno, si fa una preghiera e qui il vescovo compie l’offerta (celebra l’eucaristia) e tutti si comunicano.

A partire dal VII secolo, è possibile seguire l’evoluzione della liturgia romana del Giovedì Santo, anche se le seguenti conclusioni non trovano d’accordo tutti i liturgisti.
A quanto pare, a quell’epoca, a Roma venivano celebrate tre messe: una al mattino, una a mezzogiorno durante la quale venivano consacrati gli Oli santi, e un’altra la sera. La messa  della consacrazione degli Oli, non comportava alcuna liturgia della parola, ma iniziava immediatamente con l’offerta.
Quanto al rito della lavanda dei piedi, lo si trova già a Gerusalemme a metà del V secolo. Il rito si diffuse poi in Oriente e in Occidente.
Nel X secolo, nel Pontificale romano – germanico non resta più che la messa crismale del mattino e la messa della sera.
Ma la liturgia del Giovedì Santo subirà ancora due aggiunte. La prima consisterà nella traslazione solenne di ciò che resta delle sacre specie in un tabernacolo provvisorio, dove verranno adorate prima di essere prelevate per la comunione del giorno seguente. Questo rito prenderà piede tra il secolo XIII e il XV.

Nell’antica liturgia romana veniva conservato, in un cofanetto, ciò che rimaneva del pane consacrato e il tutto era depositato in sacrestia, senza particolari segni di onore. Durante la messa successiva, all’inizio della celebrazione, il cofanetto veniva presentato al pontefice, dopo il suo ingresso, e questi venerava per qualche istante le sacre specie che erano poi portate in presbiterio per essere deposte nel calice del vino consacrato al momento della frazione. Quando la devozione al SS. Sacramento si sviluppò, la santa Riserva ricevette onori particolari. Tale sviluppo si ebbe soprattutto a partire dalla metà del XIII secolo, proprio quando papa Urbano IV estese a tutta la Chiesa la celebrazione della festa del Corpo di Cristo (11 agosto 1264). Il tabernacolo provvisorio del Giovedì Santo divenne allora l’occasione per manifestare la devozione all’eucaristia. Ma quando la celebrazione del Giovedì Santo adottò nella sua liturgia taluni segni di tristezza (abolizione del suono dell’organo, delle campane, ecc..), il tabernacolo provvisorio fu stranamente considerato  da parecchi fedeli – e ciò con insistenza – come il sepolcro di Cristo, sebbene la Chiesa non avesse ancora celebrato la sua morte. In certe chiese, come ad esempio in Gallia (= attuale Francia), faranno la loro comparsa delle celebrazioni della sepoltura di Cristo, imitando in tal modo la liturgia della chiesa bizantina.
La spogliazione dell’altare divenne un simbolo dello spogliamento di Cristo sulla croce: era uso corrente togliere la tovaglia dall’altare. Secondo certe consuetudini, due accoliti posti ciascuno ai lati dell’altare tiravano la tovaglia ad modum furentis (= con forza) per simulare la spartizione della tunica di Cristo.

La celebrazione del Giovedì Santo oggi.

La riforma del 1955 aveva già ripristinato alla sera, comunque dopo le quattro del pomeriggio, la celebrazione dell’eucaristia a ricordo della sua istituzione. Ma le letture erano rimaste identiche e, a quel tempo, non esisteva ancora la concelebrazione, se non in occasione di un’ordinazione episcopale o presbiterale. La riforma del Vaticano II introdusse riforme più profonde.
La liturgia della Parola è stata incentrata sull’istituzione dell’eucaristia e sull’amore fraterno. Così anche le orazioni presidenziali ed il prefazio.
I preti concelebrano anche se hanno già concelebrato alla messa del Crisma.

È stata mantenuta la processione al tabernacolo provvisorio.
Si esortano i fedeli a dedicare un po’ di tempo, nella notte, all’adorazione del SS. Sacramento, nel tabernacolo, purché tale adorazione si faccia senza solennità alcuna qual’ora si protragga oltre la mezzanotte.

La spogliazione dell’altare avviene in silenzio e nessun salmo è previsto durante questa cerimonia, abituale del resto nei tempi passati e alla quale – pur senza nella togliere al suo simbolismo – non s’intende dare un’importanza che non ha.
Non si celebrano i Vespri.

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