La Parola per la Chiesa 202

da | Nov 22, 2009 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

XXXIV domenica del Tempo Ordinario
Ultima domenica dell’Anno Liturgico 2008 – 2009
N.S. Gesù Cristo Re dell’Universo
Solennità
A cura di p. Giorgio

Dn 7,13-14
Sal 92
Ap 1,5-8
Gv 18,33-37

Tematica liturgica

Gesù davanti a Pilato afferma: «lo sono re». Il Vangelo (Gv 18,33 evidenzia la dimensione «secondo lo Spirito» del regno di Gesù e identifica primariamente Gesù – re come il testimone – rivelatore di Dio e delle cose di lassù. Il testo della prima lettura, Dn 7,13-14, continua lo svelamento dell’identità di Gesù come re: egli possiede un regno vittorioso e universale. Le caratteristiche della regalità di Gesù mostrano come tale regalità sia aperta e accogliente, tanto da abbracciare anche coloro che lo trafissero (Ap 1,5-8). La regalità di Gesù è stata ed è un dono divino all’umanità. Si tratta di un dono di perdono (a causa del suo sangue versato per l’uomo), di vita (a causa della sua risurrezione) e di adorazione al Padre (a causa del dono del sacerdozio fatto al suo popolo). La Colletta propria, traducendo questa teo¬logia, afferma che il credente è chiamato a comprendere che «servire è regnare» e il «dono della vita» è confessione di fedeltà a Cristo, «primogenito dei morti e dominatore di tutti i potenti».

Dimensione letteraria

Il testo originale incomincia la pericope con queste parole: «Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse». L’intenzione è chiara: l’evangelista vuole che il lettore sappia quanto Pilato sia condizionato dal dialogo con i giudei che gli hanno consegnato Gesù (Gv 18,28-32). La dicitura liturgica, invece, toglie questa finezza («In quel tempo, disse Pilato a Gesù»).
La pericope del Vangelo finisce in modo naturale in Gv 18,38a. La liturgia preferisce chiudere invece in Gv 18,37 con la luminosa autorivelazione di Gesù come re e profeta.

Esegesi biblico – liturgica

a. Il dialogo di Gv 18,33-37 intreccia due tematiche: la ricerca di colpevolezza da parte di Pilato nei confronti di Gesù (vv. 33-35) e la discussione sul regno di Gesù (vv. 36-37).
Tra le accuse, una ha colpito Pilato: Gesù si proclama re (v. 33: «Tu sei il re dei giudei?»). La controdomanda di Gesù chiarisce chi siano coloro che sono interessati alla sua morte. Senz’altro, non Pilato. Pilato, riprendendo il suo ruolo di giudice è convinto che in Gesù non c’è colpa (cf. Gv 19,4.6).
La seconda parte del dialogo, quella che è più vicina tematicamente alla celebrazione di oggi, è uno dei brani più intensi del processo.

b. Gesù, rispondendo alla iniziale domanda di Pilato, chiarisce l’identità del suo «Regno». La risposta è articolata in cinque stichi (1: il mio Regno non è di questo mondo; 2: se il mio Regno fosse di questo mondo; 3: i miei servitori avrebbero combattuto; 4: perché non fossi consegnato ai giudei; 5: ma il mio Regno non è di quaggiù). Tra il primo e il quinto, l’evangelista ha posto una inclusione (il mio Regno non è di questo mondo il mio Regno non è di quaggiù): il suo Regno è dentro la storia, ma non risponde ai criteri della storia (sant’ Agostino: «Egli non dice: – Il mio Regno non è qui, ma: – non è di qui»). Si tratta di un tema che coinvolge anche il credente che è nel mondo, ma non è del mondo. Nella lettera a Diogneto si afferma che il cristiano vive nel mondo, ma la sua cittadinanza è altrove.
Gesù è il «testimone-rivelatore» di Dio e delle cose di lassù. Ne consegue che la testimonianza di Gesù possa essere accolta solo in un rapporto di fede-fiducia in lui. «Essere dalla verità» equivale a scegliere di legarsi totalmente a lui. Senza tale scelta non è possibile accogliere la sua testimonianza.
Gesù, dunque, è re per tutti coloro che lo accolgono come testimone-rivelatore di Dio e delle cose di lassù. Gesti è re ora, al presente, e questa verità condiziona, a livello di fede, il credente che agisce nel tessuto sociale e storico.

Lo Sconfitto è il Vincitore

Strano dialogo quello tra Pilato e Gesù, dialogo segnato dalla situazione in cui i due si trovano. All’apparenza non ci potrebbe essere distanza più incolmabile.
Da una parte colui che incarna il potere di Roma, potere assicurato dalla forza, dagli eserciti. Dall’altra uno che appartiene ad un popolo dominato, sottomesso, senza diritti di fronte ai padroni del mondo.
Da una parte il giudice, che esercita un potere di vita e di morte, dall’altra l’imputato, che è totalmente nelle sue mani e che è già stato condannato da un tribunale del suo popolo. Dalla sentenza di chi ha davanti può dipendere una fine atroce, sulla croce.
Da una parte uno che sembra non abbia nulla da perdere. Dall’altra uno che da un momento all’altro può perdere tutto.
Tra i due un’accusa che i capi dei sacerdoti hanno lanciato, un’accusa confezionata apposta perché Pilato – ignaro di religione ebraica – pos¬sa emettere una condanna: questo Gesù si è dichiarato «re dei giudei».
Un’accusa che, se la situazione non fosse così drammatica,farebbe nascere il sorriso sulle labbra. Quest’imputato sembra non aver nulla di regale, se per regale si intende ciò che è appannaggio dei re di que¬sto mondo: un esercito, una reggia, un trono, una corona … Quest’im¬putato non ha neppure l’atteggiamento arrogante di chi domina, asservisce, calpesta.
La fine, dunque, la si può già immaginare. L’imputato verrà condannato, finirà sulla croce. E agli occhi di tutti apparirà come lo Sconfitto, il Perdente, l’Illuso, il Sognatore. Sì ma questo solo fino al penultimo capitolo.
Perché alla fine, solo alla fine, si potrà conoscere la realtà. Colui che appariva debole, schiacciato, si è rivelato come il Vincitore. Il suo amore ha cambiato la faccia della storia. E non è questo il vero potere? Colui che appariva forte, determinato, in posizione superiore, si è rivelato come lo Sconfitto. Il suo potere apparente celava una fragilità cronica. Perché la violenza, l’imposizione, l’arroganza del dominatore hanno sempre, prima o poi, un termine. Solo l’amore salva il mondo, solo l’amore edifica qualcosa di solido, solo l’amore riesce a vincere l’odio e la cattiveria.
Il senso della festa odierna è proprio qui: un’occasione per riconoscere il potere di Gesù di Nazaret, un potere che non si esercita «al modo di questo mondo», né viene «da questo mondo», dai suoi eserciti, dal suo denaro, dalla sua forza. E tuttavia questo potere è reale, tanto reale da essere l’unico in grado di cambiare veramente la nostra storia.
Mi viene da pensare a Francesco d’Assisi, povero e malato, disarmato e disarmante, che ha cambiato la storia della Chiesa. Mi viene alla memoria il Mahatma Gandhi che ha piegato l’arroganza del potere coloniale inglese solo con la pratica della non-violenza. E mi domando: che cosa significa, oggi, per noi cristiani, accogliere l’esempio di Gesù, esercitare l’unico potere autentico, quello dell’amore?

Fonte: la Parola per la Chiesa, EDB, 2005

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