la Parola per la Chiesa 195

da | Ott 11, 2009 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

XXVIII domenica del Tempo Ordinario

E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago …
A cura di p. Giorgio

Sap 7,7-11

Sal 89

Eb 4,12-13

Mc 10,17-30

Tematica liturgica

Il discepolo di Gesù sa che la sua scelta per Dio viene continuamente messa alla prova. Esiste una realtà che ha una forza potentissima di attrazione, ma che non possiede la stessa logica di Dio. Si tratta delle «ricchezze». Nel mondo biblico con il termine «ricchezze» s’intende indicare i beni materiali e insieme tutte quelle sicurezze che vengono dal mondo della cultura e dal mondo affettivo (Mc 10,17-30).
Riformulare la scelta per Dio non significa che il credente deve essere indigente, ignorante e svuotato del suo mondo affettivo, ma deve continuamente diventare «libero e povero» (cf. la Colletta particolare), capace cioè di servirsi di queste realtà, senza diventarne servo.
Il testo evangelico indica il criterio fondamentale con cui il discepolo deve gestire la propria scelta: prima la sequela di Cristo, poi tutto ciò che si armonizza con questa, rinunciando a quello che è disarmonico o, addirittura, contrapposto ad essa. Per operare questa scelta e perseverarvi è necessario avere il dono dello Spirito che viene da Dio, capace di donare lo «splendore che non tramonta» (Sap 7,7-11).

Dimensione letteraria

Testo evangelico e testo evangelico – liturgico (Mc 10,17-30) coincidono, fatto salvo il solito incipit liturgico. Ogni «detto» e ogni «fatto» di Gesù, dopo la confessione di Pietro e la prima profezia della passione-risurrezione, va inquadrato – secondo la teologia di Marco – nel cammino «pasquale» di Gesù verso Gerusalemme. Il Lezionario ha preferito fare una scelta diversa. Ogni «detto» e ogni «fatto» di Gesù sono una realtà in sé «assoluta», da collocarsi all’interno della celebrazione, che è sempre celebrazione del mistero pasquale. Ogni «detto» e ogni «fatto» di Gesù, dunque, ha come «contesto» o, se si vuole adoperare un’espressione meno classica, come orizzonte interpretativo, il mistero pasquale celebrato. Ciò permette al Lezionario di giocare, togliendoli o lasciandoli, con gli elementi redazionali di Marco sul cammino «pasquale» di Gesù verso Gerusalemme.
Mc 10,17-30 è composto da tre pericopi, letterariamente distinte, ma tematicamente congiunte: la vocazione dell’uomo ricco (Mc 10,17-22), il pericolo delle ricchezze (Mc 10,23-27) e la ricompensa per la rinuncia alle ricchezze (Mc 10,28-30).

Esegesi biblico – liturgica

a. L’uomo ricco (Mc 10,17-22) sembra disponibile alla conversione («gettandosi in ginocchio davanti a lui») e desidera comprendere bene il significato della Legge perché vuole avere la vita eterna. L’uomo è un fariseo. La domanda che l’uomo pone dovrebbe essere posta solo a Dio, l’unico «buono» veramente, e Gesù gliela dà (autorivelazione di Gesù come Dio). Gesù propone i valori fondamentali dell’alleanza che sono i comandamenti ed evidenzia l’importanza di quelli che hanno attinenza con il prossimo. I comandamenti citati appartengono al decalogo. Uno appartiene ad altro codice e riguarda la giusta paga all’operaio (cf. Dt 24,14 e Sir 4,1).
Presuntuosità e perfezione formale farisaica (cf. verbo greco efylaxàmen – osservare, adempiere) permeano la replica dell’uomo. La risposta di Gesù è un invito che un amico più maturo rivolge ad un altro amico. Il dono dei beni ai poveri è presentato come uno strumento per poter compiere «ciò che gli manca»: seguire Gesù, diventare cioè «discepolo». Sia nella riflessione teoretica sia nella prassi questa frase di Gesù resta una spina che ogni cristiano deve affrontare.
b. Gesù, dopo l’uscita di scena dell’uomo ricco, propone un principio generale sulla pericolosità delle ricchezze (Mc 10,23-27). Esse impediscono all’uomo di entrare nel Regno, ma non sono l’unico ostacolo all’entrata nel Regno. Avvolgendo i discepoli in un clima di affetto (li chiama «figlioli», v. 24, e li «guarda», v. 27, come ha fatto con l’uomo ricco, v. 21), li spinge a fidarsi di Dio: Dio renderà l’uomo che si apre totalmente a lui capace di valutare le cose come le valuta Dio.
Chi, seguendo quest’indicazione di Gesù, abbandona tutto per essere suo discepolo, riceverà la ricompensa da Dio. L’abbandono non equivale a rifiuto, ma a subordinazione (fratelli, sorelle, madre, padre e figli non si abbandonano, ma il legame con loro è subordinato al legame con Cristo). Questa scelta ha come ricompensa qualche cosa di terreno (il centuplo e anche le persecuzioni), ma soprattutto qualche cosa di eterno: la vita eterna con Dio.

Se ne andò afflitto

Come fanno – si domanda qualcuno – a vivere in quel modo?
Come fanno i missionari a condividere l’esistenza dei poveri, tra mille ristrettezze e rischi, andando incontro a mille pericoli, mettendo a repentaglio la loro incolumità? Come fanno tanti volontari a lasciare il loro paese, a prendere a cuore la sorte dei più abbandonati, a prestare un servizio che spesso non è coperto da garanzie, da assicurazioni?.
Come fanno? Se si sta a misurare tutto ciò che hanno lasciato, la lista diventa piuttosto lunga … Se ci si ferma a tutte le rinunce e i sacrifici che affrontano, si resta sorpresi e si finisce col giudicare impossibili certe scelte …
È vero: lasciare non è facile. Partire, tagliare gli ormeggi, chiede una buona dose di coraggio. Ma chi lo fa, lo fa perché ha trovato qualcosa. O perché ha incontrato Qualcuno.
Se si piange addosso, se cerca qualcuno che lo compatisca, se ritiene eccessi ve certe richieste, finisce prima o poi col mollare. Queste scelte, se si prendono, sono contrassegnate dalla gioia, non dall’afflizione; dall’entusiasmo, non dalla paura; da una pace incomprensibile ai più, non dalla fatica.
Il segreto del brano evangelico di oggi è tutto in quello sguardo che Gesù riserva a quel «tale» che gli era corso incontro, gettandosi ai suoi piedi. È uno sguardo d’amore, uno sguardo intenso, riservato a lui. Per quell’uomo le ricchezze hanno contato più di quello sguardo, più di quell’amore. Per quell’uomo, la sicurezza offerta dai suoi beni era un vantaggio a cui non avrebbe rinunciato per nessuna cosa al mondo. Neanche per seguire Gesù.
Ecco perché le ricchezze sono pericolose. Ecco perché Gesù lancia quel detto che dobbiamo prendere così com’è, in tutta la sua durezza: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio!».
La ricchezza – ogni ricchezza, non solo quella materiale – in definitiva impedisce di abbandonarsi fiduciosi al progetto di Dio. Trattiene, vincola, limita, esige che se ne tenga conto e così costituisce un ostacolo insormontabile.
Gesù non si limita a chiedere ai suoi l’osservanza dei comandamenti. Domanda qualcosa di più: che si creda al suo annuncio al punto da lasciare ogni cosa pur di seguirlo. Non è la proposta fatta ad alcuni, ai preti, ai frati, alle suore, a qualche coraggioso. È una richiesta avanzata a tutti quelli che vogliono seguirlo, essere cristiani. Perché prima o poi arriva il momento di qualche scelta costosa e allora ad essere in causa è proprio l’amore per lui, Gesù.


Fonte: La Parola per la Chiesa, EDB, 2005

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